La mia famiglia

ha svolto questa attività per secoli, nelle terre di Mantova prima e nel veronese oggi

Sono un artigiano

che ama profondamente lavorare il riso.

La passione per questo frutto della natura, considerato il principe dei cereali, mi è stata trasmessa da mio padre che a sua volta l’ha ereditata dal suo, e così di generazione in generazione fino a risalire al 1778.

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La pila

Svolgo la mia attività nello stesso laboratorio di Pilatura Riso, risalente al XVII° secolo, nel quale ha sempre vissuto e lavorato la mia famiglia. Questo luogo, immerso nella natura e attraversato da corsi d’acqua, negli anni è rimasto pressoché incontaminato. Qui ogni cosa narra esclusivamente il riso e si possono assaporare aspetti della natura che spesso la frenesia della vita in città offusca.

Seguire gli insegnamenti dei miei avi e l’amore per la terra sono i cardini del mio lavoro. La produzione artigianale del mio riso si distingue per la cura, la passione e i lunghi tempi di lavorazione, che donano al prodotto tenuta alla cottura e prelibato sapore.

Il mio lavoro è conservare l’aspetto naturale del riso e le sue proprietà organolettiche, il mio piacere è creare un prodotto che nasce da una selezione certosina della materia prima, fino ad arrivare al prodotto finito, nel rispetto della natura e delle buone abitudini in cucina.

Come si lavorava una volta il riso?

Le due macine con cui i miei antenati hanno lavorato il riso per secoli, erano opportunamente distanziate fra loro, tanto da permettere di contenere nel mezzo i chicchi di riso grezzo – il “rison” – senza frantumarli.

A volte prima del “bril” era necessario setacciare il riso con il “crivel mondador” per togliere eventuali impurità costituite da sassolini, o subito dopo con il “crivel gianzin” per togliere eventuali semi di giavone, un infestante.

Una volta terminata la pilatura, si procedeva all’estrazione del riso bianco, della polvere di riso e dei cascami: questa operazione veniva indicata come “cavar la bianca”.

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Il riso che non risultava lavorato bene veniva sottoposto a una nuova pilatura, il rimanente veniva setacciato a mano e, passando attraverso le maglie dei crivelli, da fini a grandi, venivano separati la pula (“crivel semolin”), i chicchi rotti durante la lavorazione (“crivel frabatin”) e infine, con una terza crivellatura, si separavano i chicchi piccoli (“risina”) dal vero riso commerciabile.

Il procedimento non era ancora finito, il chicco doveva essere ripulito da un sottile strato di farinaccio che ancora lo avvolgeva, veniva quindi fatto ruotare in un contenitore talvolta provvisto di spazzole setose (“lustrin”) e mescolato a semola di frumento.

Come lo lavoro oggi?

Oggi il procedimento è il medesimo, con l’unica differenza che i macchinari – che sono in gran parte ancora gli stessi – per muoversi sfruttano l’energia elettrica anziché quella manuale.

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